Il mondo al centro dell'educazione by Gert Biesta

Il mondo al centro dell'educazione by Gert Biesta

autore:Gert Biesta [Biesta, Gert]
La lingua: ita
Format: epub
editore: TAB Edizioni
pubblicato: 2023-08-16T00:00:00+00:00


Il rischio dell’educazione e la sua bellezza

Ho dedicato grande considerazione al dominio della soggettivazione non solo perché si tratta del più complesso e frainteso dei tre domini degli scopi educativi, ma anche perché credo che sia il più importante. E ciò non perché la conoscenza, le abilità, le culture, i valori e le tradizioni non siano importanti, ma perché è solo quando la soggettivazione entra in scena che si realizza pienamente il dominio dell’educazione; in caso contrario, restiamo nell’ambito dell’istruzione.

Dopotutto, come ha già spiegato molto bene John Dewey (1985, capitolo 2), l’istruzione è qualcosa che indirizziamo verso qualcuno, mentre l’educazione è qualcosa che accade insieme a qualcuno. Vorrei concludere perciò con alcune osservazioni sull’educazione, e più specificatamente, sul ruolo e sulla posizione dell’educatore, tornando all’idea su cui ho centrato il mio libro The Beautiful Risk of Education (Biesta 2014a), e cioè che l’educazione comporta un rischio o, per meglio dire, molti rischi. Quali sono questi rischi e perché possiamo caratterizzare questi rischi come “belli”?

A un primo livello, il rischio dell’educazione è chiaro e semplice: come educatori abbiamo delle intenzioni – vogliamo fornire agli studenti conoscenza, abilità, capacità di comprendere, valori, atteggiamenti, modi di fare e di essere – che ciò a cui teniamo è che gli studenti “acquisiscano” tutto ciò nel modo più “giusto”. Ma non abbiamo la certezza che ciò avvenga, e quindi corriamo continuamente il rischio che le nostre intenzioni di educatori falliscano. Gran parte del lavoro che facciamo è provare a far sì che gli studenti acquisiscano le giuste conoscenze e comprensioni, i giusti valori e atteggiamenti. Ma come educatori non possiamo operare questa acquisizione al posto loro e quindi si crea una distanza tra il lavoro che facciamo e ciò che gli studenti sono in grado di trarne, che è poi il loro lavoro. Klaus Prange, di cui approfondirò l’opera nel capitolo 6, definisce questa come “differenza educativa” (die pädagogische Differenz) (cfr. Prange 2012a).

Buona parte della ricerca e della politica educativa si sforza di ridurre questo rischio, e su un certo piano questo sforzo è giustificato, perché la riuscita è importante. Ma c’è una criticità in questa ambizione di riduzione del rischio ed è il momento in cui l’educazione non diventa nient’altro che perfetta riproduzione, indottrinamento; il punto in cui l’educazione cessa di essere un’opportunità degli studenti per esistere come soggetti, perché sono completamente oggettivati. E questo ci riporta alla domanda sugli spazi che gli studenti hanno per esistere nei contesti e nelle situazioni educative. Una domanda che è anche molto pratica e riguarda i modi in cui l’educazione deve fare spazio per la costruzione di senso da parte degli studenti – una costruzione che gli insegnanti non possono operare al posto loro – per esplorare l’ignoto e il non-ancora noto. Dopotutto, gli insegnanti che ritengono di poter dire all’inizio di una lezione quale sarà l’esperienza degli studenti, i loro incontri e i traguardi, potrebbero insegnare tranquillamente in una classe senza studenti. Anche una qualificazione e una socializzazione significative hanno bisogno di far spazio al rischio, perché senza di esso non c’è spazio per gli studenti.



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